Gli artisti che ci fanno divertire

Può essere interessante analizzare il lessico dei politici, soprattutto delle alte cariche, dato che per il resto gli anni ci hanno abituato a una rozzezza deprimente, talvolta pure nelle dichiarazioni delle alte cariche, ahinoi.
Stavolta, però, trovo più interessante analizzare la reazione degli ascoltatori. Una reazione che ho trovato più che superficiale. E cioè l’indignazione per “Gli artisti che ci fanno tanto divertire”, pronunciata da Giuseppe Conte.

Parto da un ricordo: una trasmissione in radio, ascoltata qualche anno fa.
Un liceale diceva che I promessi sposi sono anche (!) divertenti, e a sostenere la tesi portava l’esempio di Azzeccagarbugli.
Esempio che a sua volta diventa esempio di come l’aggettivo divertente coincida erroneamente con comico.

Sia il liceale, sia i conduttori che confermarono, sia molti nelle ultime ore ignorano che il divertimento è anche aspettare la nuova apparizione della cosa, nei dintorni di Derry; è divertente seguire ‘Ndria Cambria lungo la spiaggia piena di carcasse di fere; è divertente leggere i tormenti e le cupe entrate in scena del povero Gonzalo Pirobutirro; come è divertente sperare, ancora, dopo secoli, che frate Giovanni arrivi da Romeo in tempo, e invece no, fanno di nuovo casino questi preti – che si mettono in mezzo – e questi innamorati.

Se poi volessimo appesantire l’analisi con un pochino di accademia, potremmo rifarci al sempre ingombrante latino.

divertire: da divertĕre ‘volgere altrove’, deviare.
Appunto, spostare l’attenzione verso altro.
Il che lo si può fare con una barzelletta, come troppi pensano, o con molto altro, come troppi ignorano.